Intervista a Lorenzo Vignando in arte Ukulollo!

1.       Come descriveresti il tuo background musicale?

Lo definirei come molto vasto. Io sono nato nel 1974. Da bimbo avevo un mangiadischi arancione e ascoltavo i pochi 45 giri dei miei genitori, non cose fantastiche in generale, però c'erano i Beatles. Una tappa fondamentale del mio background sono state, durante tutti gli anni dell'infanzia, le sigle dei cartoni animati fine anni settanta e ottanta. Penso che la qualità di quelle canzoni sia stata una vera benedizione per la mia cultura musicale. Mai banali, trascinanti, emozionanti, canzoni come Conan, Mimì, Mazinga Z, Goldrake, l'uomo tigre, e 700 altre, sono entrate definitivamente nel mio dna musicale.
A dodici, tredici anni il mio DJ era mio cugino Steve, di due anni più grande. Mi faceva ascoltare i Duran Duran e contemporaneamente Battisti, Baglioni e De Andrè.  In quegli anni di continui turbamenti ho scoperto quanto la musica fosse emozionante ed evidenziasse le sensazioni  forti e disperate che l'adolescenza porta con se. Ascoltavo musica ogni giorno e per molte ore, consumando cassette, completamente catturato dalla magia di poter riprodurre emozioni su nastro o vinile. Battisti mi piaceva, Baglioni mi faceva piangere e mi turbava, i Duran Duran mi facevano sentire figo. Mi ricordo che mi piaceva cantare Shout dei Tears for Fears a squarciagola, da solo in giardino. Allora non conoscevo l'inglese e cantavo: Shout shout lerirolaut, disarenddisaren do without, camaon, i'm talking to you, camaon. Quindi “Shout” and “I'm talking to you” li avevo indovinati. Non c'era internet per cercare le Lyrics delle canzoni. 
I primi dischi che ho comprato intorno alla seconda media erano quelli di Zucchero, Terence Trent D'Arby, Madonna, Celentano, Bad di Michael Jackson (che piaceva alla mia compagna di classe della quale ero innamorato), Faith di George Michael, nonché, poco più tardi, Jovanotti di Gimmy five. Infatti guardavo sempre DJ Television tornato da scuola. In quello stesso periodo vedevo il ragazzo che suonava in chiesa la chitarra acustica e mi piaceva il suono. C'erano alcune canzoni di chiesa che mi piacevano e mi davano belle sensazioni, come  “Symbolum 99” in un mi minore molto sofferto, o “E sono solo un uomo” che reputo tutt'ora una buona canzone.
A sedici anni ho scoperto i Pink Floyd e tutto è cambiato. Oltre ad ascoltare tutto di loro ho letto molti libri sulla loro storia e mi sono innamorato della loro musica. La mia ambizione, dal palchetto della chiesa, si era già spostata verso gli stadi stracolmi di hippie, dove suonare tranquillo la mia chitarra elettrica. Ricordo alla perfezione il primo momento in cui ascoltai il vinile di Wish you were here, comprato senza aver mai ascoltato una singola traccia di quel disco. Ero fermo in salotto, lo stereo era buono, e mi si è riversata addosso, come un mare di un pianeta lontano, Shine On You Crazy Diamond. Da allora la mia direzione musicale è stata quella. Formai una band che si chiamava Ego, tenni i primi concerti alle scuole superiori. I primi piccoli successi e anche le prime figuracce. Comunque non voglio divagare troppo, visto che già questa prima risposta mi pare decisamente sfuggita di controllo.  In quegli anni, suonando con la mia band, approfondii la conoscenza delle vecchie band progressive degli ani 70, inglesi, come i meravigliosi King Krimson, o italiane, come la PFM, quei matti degli Area, il Balletto di Bronzo, Il Rovescio della Medaglia (che mi piaceva un casino). Già da allora scrivevo canzoni originali. Oltre alle band progressive approfondivo la conoscenza di tutta la storia del rock dai Beatles (che però ora consideravo un po' da ragazzini) ai Led Zeppelin, al punk, a Jimi Hendrix, alla west coast americana degli ultimi anni '60, fino ai Metallica che con il black album avevano reso accessibile il metal a tutti, e poi i R.E.M.
Nel 1992 è uscito Nevermind dei Nirvana e Ten dei Pearl Jam, io avevo esattamente 18 anni. Potete immaginare il casino. Ero innamorato del grunge e perfettamente calato nel mio tempo. Vestivo camice a scacchi, portavo i capelli come Eddie Vedder e il suono della mia band si era notevolmente appesantito. Contemporaneamente, però, si andava in discoteca dove la musica era completamente diversa: la acid house prima e poi la house anni 90. Ragazzi che frullato di generi! Inoltre in quegli anni uscirono il fantastico Songs of Faith and Devotion dei Depeche Mode, un album che ho consumato. Da allora la mia attenzione a tutta la musica si è fatta maniacale. Ascoltavo tutto e sempre. Mi piacevano tutti i risvolti peculiari di ogni genere. Amavo molto, oltre al casino, l'eleganza. All'università ascoltavo Shade, Pat Methini, i Dire Straits. Poi ho avuto un lungo periodo in cui mi piaceva il primo Capossela e il primo Carboni, nonché i Sonic Youth, e infine i Sigur Ros.
Intorno ai 22 anni i miei genitori, che visitavo ogni weekend di ritorno dall'università, ebbero  due nuovi singolari vicini di casa. Erano una signora di 80 anni ex cantante lirica di fama nazionale, e il suo figlio ottimo direttore di orchestra. Organizzavano insieme un concorso per nuove voci della Lirica che ancora oggi si tiene a Lignano. Il maestro, visto che mi piaceva la musica, insisteva perché seguissi il concorso e le opere che alla fine si mettevano in scena. Così un pomeriggio andai ad ascoltarmi il concorso, in una bella sala elegante di Lignano. Cantarono alcuni cantanti e l'impressione non fu malvagia, anche se l'ascolto mi risultava un po noioso. Ad un certo punto, però, salì sul palco una ragazza. Era una corista del teatro verdi di Trieste. Cantò “Sì, mi chiamano Mimì” dalla Boheme di Puccini. Quando sentii le prime note, subito l'atmosfera cambiò, mi si strinse il cuore, e mano a mano che l'aria proseguiva, gli occhi mi si riempirono di lacrime. Io cercavo di resistere, mi dicevo che non potevo mettermi a frignare da solo nel bel mezzo della sala, che non era nemmeno al buio. Ad un certo punto sembrava che il pezzo più struggente fosse passato e io fossi riuscito a resistere, ed ecco che Puccini invece, aveva piazzato un altro acuto minore dolcissimo che mi fece dirompere in pianto. Alla fine trattenevo i singhiozzi. Capirete che dopo una simile esperienza ho fatto un po' di ricerca su Puccini, e ho scoperto che tutta la sua musica mi faceva quell'effetto: la capivo totalmente e mi arrivava diretta e senza filtri al cuore, allo stomaco e alla testa. Così mi sono andato a visitare la città dove è nato, che è la città magica nella quale ora vivo. Ma questa è un'altra storia. Da allora anche la musica lirica fa parte del mio background musicale. Di tutto quello che ho ascoltato non rinnego nulla. Dai 24 anni in poi cominciai a fare piano bar e a suonare ai matrimoni. Io alla chitarra e voce, ed un caro amico alla tastiera e voce. Abbiamo suonato niente meno che tutto quanto avete letto fino a qui e anzi, molto di più. Tutto. Un miscuglio incredibile di canzoni che adattavamo all'occasione. In quel periodo ho imparato che ogni tipo di musica è dignitosa, e ho imparato a non vergognarmi dei miei propri gusti musicali. A quel punto i Beatles hanno ricominciato a risplendere.  Attualmente il mio gusto musicale è attraversato da ondate alle quali non mi sottraggo. Posso passare tre mesi ad ascoltare solo i Fleet Foxes e considerare tutto il resto nauseabondo, posso guardarmi tutti i musical di Webber piangendo tutte le mie lacrime, mi può tornare la voglia di ascoltare Baglioni, prendere una cotta per l'ultimo disco di Lisa Hanningan, insomma avete capito.

2.       Qual è il tuo approccio globale alla musica in generale?

È un approccio semplice e disinibito. Mai sofferente. Come ho scritto prima la musica è magica perché riesce a racchiudere emozioni che altrimenti svanirebbero per sempre, e perfino a creare emozioni che non  si conoscevano prima. Ogni tempo ha la sua musica. Per quanto riguarda la composizione, cerco di essere il più sincero possibile e di divertirmi. Mi è successo a volte, di scrivere canzoni che ritengo possiedano qualità. Vorrei provare a descrivere la sensazione che si ha in quei casi. È come se quella canzone fosse sempre esistita, intrappolata prima della realtà. E io sia riuscito, grazie ad un colpo di fortuna dopo vari tentativi o seguendo una vaga intuizione, a sollevare un sottile lembo di realtà e a intravederla, scavando con prudenza della realtà trasparente tutto intorno per farla affiorare e pulendola bene alla fine. Una volta che si riesce a finire di “estrarre” una canzone del genere, si è felici per molti giorni. Nonché ogni volta che la si risuona. Vorrete scusare l'eccessivo lirismo della spiegazione.
3.       Da quanti anni suoni l’ukulele?

Quattro.

4.       Come hai conosciuto l’ukulele? Chi o cosa ti ha spinto ad iniziare a suonarlo?

Avevo visto il film “50 volte il primo bacio”. La versione di Iz di “somewhere over the raimbow” è stata usata molte volte, ma secondo me, mai bene come in quel film. È un bellissimo piano sequenza emozionante che esce da un'oblò e scopre una barca in mezzo al mare. Ascoltandola così mi è sembrata una canzone incredibile e ho provato a cercare i giusti accordi rivolti per suonarla con la chitarra. Per quanto provassi non riuscivo a riprodurre quel bellissimo strano suono. Naturalmente non ci riuscivo perché non era il suono della chitarra ma dell'ukulele.  Io allora non sapevo nemmeno che l'ukulele esistesse. Poi una sera, esplorando talenti sconosciuti su youtube, andando di related video in related video, mi sono imbattuto in Julia Nunes. Erano i primi video di Julia Nunes, e lei incarnava perfettamente, allora, l'ukulele. Non potevo credere che quello fosse il suono di quello strumento. Me ne innamorai immediatamente e capii che era da sempre il mio strumento. E questo mi porta a rispondere alla prossima domanda.

5.       Quando hai acquistato il tuo primo ukulele, come hai iniziato a capire come si suona?  Dove ti sei orientato per imparare a suonarlo? Internet, libri, dvd… o altro?

Non sapevo dove andare a parare, ossia, volevo un bushman come quello di Julia Nunes, ma sembrava impossibile acquistarlo in Europa, così passai un sacco di giorni e notti su youtube per capire cosa comprare. Quando incontrai i video di Ken Middleton che faceva le review dell'Ohana TK – 35G, capii che era quello il suono che volevo. Volevo quello e nessun altro. Lo ordinai da un sito inglese e andai a prendermelo direttamente al deposito Bartolini perché non potevo aspettare che me lo portassero a casa il giorno successivo. Mi costrinsi però ad aprire la scatola solo arrivato a casa, da solo. E quando la aprii, cominciai a ridere. Che gioia provai! Ci misi le mani sopra e in pochi minuti avevo già fatto i miei primi giri armonici (ancora mi ricordo le prime cose in assoluto che suonai quel giorno). Poco dopo conobbi Mimmo e Daniela e venni a sapere dell'esistenza di due impensabili tesori italiani: Le corde Aquila e il Mercatino dell'ukulele. Allora facevo il videomaker di lavoro, così andai a riprendere il festival di Vicenza del 2009 e conobbi molti nuovi, incredibili  amici: dagli stessi Mimmo e Daniela, a Ken Middleton, a ukulele Zaza, e molti altri, fino al mio caro amico Paul Moore.

6.       Che genere di musica preferisci suonare con l’ukuele? Qual è la tua taglia preferita di ukulele (sopranino, soprano, concert, tenore, baritono, banjolele…)?

A questa domanda rispondo insieme alla prossima.



7.       Tu che hai sicuramente provato diversi modelli di ukulele, potresti descrivermi la differenza secondo te?

Non c'è un genere particolare che mi piaccia più degli altri. Una cosa che mi piace molto, parlando di cover, è vedere come suona la musica elettronica passata all'ukulele. Credo di aver fatto degli esperimenti ben riusciti con Enjoy the silence, ma ancora di più con la sigla di supercar. Anche la musica disco trasposta all'ukulele è interessante. In ogni caso la musica che preferisco suonare all'ukulele è la mia. Credo di riuscire a dare il meglio nei miei pezzi originali perché naturalmente sono creati su misura rispettando i mie limiti tecnici, la mia estensione vocale, la mia predisposizione all'arrangiamento. Direi comunque che suono prevalentemente rock con l'ukulele, nell'ampio senso che questo genere ha acquistato. Non usando però distorsioni o effetti direi che potremmo parlare di rock acustico. Sì, rock acustico credo. So anche che generi non mi piacciono con l'ukulele. Non piace il genere elettrico. Penso che suonando con distorsioni o effetti non ci sia nessuna ragione per  preferire un ukulele a una chitarra. Inoltre non mi piace molto la musica classica per ukulele solo. La trovo noiosa e fuori luogo. Naturalmente con le dovute eccezioni.
Le teglie dell'ukulele mi piacciono tutte, perché tutte hanno caratteristiche diverse che arricchiscono le possibilità espressive.
Il sopranino è stupefacente, simpatico, e con una forte impronta percussiva che mi piace. Io lo tengo accordato in RE, così quando suona insieme ad un altro ukulele accordato invece in DO, le posizioni degli accordi cambiano e mi pare che il suono si differenzi e allarghi meglio.
Il soprano è la taglia con cui l'ukulele nasce, e per pezzi old fashion o jazz è lo strumento ideale.
È maneggevole e portatile. E ha un range di qualità larghissimo! Dalla plastica al koa. È talmente variabile il suo suono che non è possibile darne un giudizio solo in base al fatto di essere un soprano.
Il concerto è forse la taglia che preferisco perché ci si può fare tutto e il suo suono è ancora perfettamente ukulelico. Su di un buon concerto si può salire sul manico e sperimentare nuove posizioni e nuove sensazioni, il tutto con molta morbidezza.
È spesso bistrattato come taglia perché considerato un ibrido, ne' carne ne' pesce, ma a me piace, probabilmente perché sono vegetariano. Mi piace moltissimo soprattutto in studio. Registrato ha una dolcezza e una finezza che a volte il tenore non raggiunge.
Il tenore è meravigliosamente espressivo. Ha un suono caldo e autosufficiente. Quando suono amplificato scelgo spesso il tenore che è più ricco di frequenze, e mi offre una base più solida del concerto. Rispetto alle altre taglie ha un bel sustain che affascina sicuramente ma lo avvicina alla chitarra più degli  altri, ed è il migliore se si vuole suonare con il low g (il sol basso) perché appunto possiede più bassi. Il mio primo ukulele è stato proprio un tenore, venendo io dalla chitarra, eppure, col tempo, la mia preferenza si è spostata al concerto per le ragioni di cui sopra. Il Tenore mi piace moltissimo in studio per ampliare la gamma delle frequenze. Infatti spesso lo uso con il low G.
Per quanto riguarda il baritono non sono mai riuscito, fin'ora, a farmelo piacere. Lo vedo più come una particolare chitarra senza le due corde più basse. Tuttavia penso sia solo questione di tempo e nel mio prossimo disco voglio provare ad usarne uno per allargare ulteriormente la gamma di frequenze del suono dell'ukulele.
Ukulele con fortissima personalità sono poi i benjolele. Fantastici e rumorosissimi. Il sustain è praticamente nullo ma la potenza percussiva aumenta di gran lunga. Discorso simile per i resonator. A me questi due generi di ukulele piacciano pizzicati in finger picking per dare un'atmosfera rurale o per dare una bella idea di movimento con le loro note sgranate. Suonati con pennate mi piacciono un po' meno, ma sono utilissimi per chi voglia fare busking per le strade suonando vecchie canzoni, perché di sicuro si fanno sentire.

8.       Quale taglia di ukulele consigli a chi deve iniziare?

Dipende dalla direzione che vuole intraprendere la persona che vuole iniziare. Immaginiamo che a chiedermi questo consiglio sia un fan di Jake Shimabukuro, allora gli direi Tenore, senza dubbio. Se gli piacciono i virtuosismi e il suono dell'ukulele solo, quella è la sua strada. Se invece a chiedermi il consiglio è una appassionata di Amanda Palmer, allora dico soprano. Ad un fan di James Hill probabilmente consiglierei il concerto. Se è qualcuno che non ha nessun ukulelista in mente, gli mostrerei dei video di ukulelisti famosi, indagherei sui suoi gusti musicali, sulla sua personalità sul suo grado di autoironia, e poi darei il mio consiglio. Penso comunque che quando si inizia qualcosa una bella ricerca su quello che piace di più sia auspicabile. Prendendosi tutto il tempo che serve. Anche se si tratta solo di scegliere la taglia di ukulele dalla quale iniziare. Scegliere accuratamente la direzione è molto più importante che percorrere velocemente la strada.

9.       Oltre alla taglia dell’ukulele, quale marca raccomanderesti a chi è alle prime armi e quale a coloro che vogliono uno strumento valido per suonare seriamente, facendo serate dal vivo?

In italia la Mahi mahi ha un rapporto qualità prezzo imbattibile. Per qualsiasi fascia di ukulele si parli. I Mahimahi yellow sono migliori di qualunque ukulele dello stesso prezzo, così nelle fasce di prezzo superiore, in particolare i willow sono strepitosi.
Fuori dall'Italia consiglio Ohana: fa ukulele bellissimi. Il fatto che io sia endorser di queste due marche è  perché io le amo e ho chiesto loro di essere loro endorser e non viceversa.
Se si hanno più soldi naturalmente i Kanile'a sono stupendi. Sono quanto di più hawaiano possiate immaginare di suonare.
Ma attenzione,  se avete le idee chiare e un budget simile a quello per un Kanile'a, c'è una strada alternativa molto bella che ho avuto la fortuna di intraprendere: quella di un ukulele di liuteria Historia. Valerio Pennisi è il liutaio che crea questi gioielli italiani. Attualmente sta portando a termine il mio personale ukulele e non c'è ukulele al mondo più bello per me.

10.   Quali sono i parametri (tipo di legno, corde, tastiera, ponte, ecc…) che l’ukulele deve avere per essere considerato buono? A quali caratteristiche guardi tu maggiormente?

Come detto in precedenza non c'è un materiale migliore di altri in assoluto. Se per esempio ti piacciono i National, quelli  non sono nemmeno fatti di legno! Le caratteristiche che più mi piacciono sono il calore e la profondità del suono. Amo i suoni dolci e scuri, eppure mi piace anche il volume. Queste due cose sono quasi contrastanti e abbastanza difficili da ottenere contemporaneamente.
Come legno amo il koa, perché è il legno hawaiano e gli ukulele nascono alle hawaii. La creazione di uno strumento è una cosa delicata e tutte le parti in gioco formano un equilibrio che varia di volta in volta portando a risultati diversi e a caratteristiche diverse. Ancora una volta la cosa migliore è ricercare la propria direzione e non assecondare un suggerimento. Youtube e internet in generale offrono una grande quantità di stili e strumenti da ascoltare. Scoprite ciò che vogliono le vostre orecchie e non potrete sbagliare.
Anche per quanto riguarda le corde non ci sono necessariamente dei migliori in assoluto. Io uso le corde aquila su tutti i miei strumenti, ma per alcuni strumenti, come i flea o fluke, per esempio, forse suonano più dolcemente le worth, ho provato anche delle corde kohaloa che suonavano molto bene su un tenore. In ogni caso nelle fasce di ukulele per beginner non c'è niente che brilli e vibri forte come le Aquila. E negli strumenti di fascia maggiore, ancora una volta, è questione di gusti. In ogni caso io rimarrò sempre un profondo supporter dei nostri tesori nazionali Aquila Strings. Perché sono corde favolose e perché Mimmo che le ha inventate è un genio ed una persona di una purezza esemplare.

11.   Abbiamo assistito, in questi ultimi anni, ad una diffusione crescente dell’ukulele in Italia e nel mondo: secondo te, a che cosa si deve questo boom?

L'ukulele è fuori dal mainstream, i media generalisti non ne parlano o ne parlano come una piccola curiosità, dedicandogli meno importanza di un flirt di un personaggio famoso. Quindi è con internet che l'ukulele si diffonde. Grazie al fatto che la gente guarda meno TV e può conoscere finalmente quegli artisti che hanno deciso di usare il nostro strumento. Eddie Vedder ha fatto una gran cosa per l'ukulele, suonandolo in un modo che forse non era mai stato fatto così solidamente prima e facendolo conoscere ad un pubblico che forse non si sperava potesse raggiungere. Anche molte band indie, come i Beirut o altre stanno contribuendo alla diffusione di questo strumento. Ci sono sempre più teenager che lo imbracciano. La fortuna è che da strumento risibile ed effeminato, si sta trasformando in strumento figo. Certo in Italia, nonostante questo boom, saremmo tutti persi e senza riferimenti, se non ci fossero stati alcuni pionieri.
Dobbiamo tutti ringraziare il Mercatino dell'Ukulele e a Mimmo e Daniela per primi, i nostri pionieri. Poi Andrea Bigiarini, creatore del primo blog italiano che però ha chiuso i battenti lo scorso anno, e Jontom, che con il suo Youkulele ha creato una piattaforma modernissima e avanzata per tenere tutti gli ukulelisti in contatto e per diffondere a 360° il nostro amato strumento, con lezioni online, rubriche, e perfino una Web TV che cresce di giorno in giorno. Un vero punto riferimento con tanto di Tiki Bar dove fare quattro chiacchiere tra ukulelisti.
E naturalmente anche tutti i blog come questo tuo, Claudia!

12.   Che consiglio ti senti di dare a chi vuole incominciare a suonare l’ukulele, o comunque è alle prime armi?

Due consigli fondamentali.
Primo: Impariamo l'inglese. Noi tutti Ukulelisti siamo pochi e sparsi in giro per il mondo e l'inglese è la lingua migliore per comunicare. Parlando inglese si spalanca un numero di porte di comunicazione in ogni senso almeno 100 volte superiore all'italiano.  E imparare non significa studiare. Dimenticatevi la noia dello studio, imparate a memoria i testi delle canzoni in inglese che vi piacciono, leggete la traduzione così saprete che cosa state cantando, guardate i film in lingua originale coi sottotitoli in originale, dopo un quarto d'ora si capisce tutto ed il sonoro è molto più bello perché spesso c'è la presa diretta.
Secondo: quando suonate l'ukulele non fermate mai la mano destra. Il ritmo è solo questione di accento. Scegliete quando toccare le corde avvicinando o allontanando la mano che continuerà come un motorino costantemente ad andare su e giù con regolarità. Questo è per me il consiglio tecnico più importante.
Terzo dei due consigli fondamentali. Mi è venuto in mente ora: Andate ai festival, l'atmosfera che si respira ai festival dell'ukulele è unica. Per quanto possiate immaginare di poterne essere felici di andarci, i festival dell'ukulele vi renderanno più felici ancora.

13.   Siamo arrivati alla fine dell’intervista, ti ringrazio per la pazienza, la gentilezza e la disponibilità. Vuoi chiudere dicendo qualcosa agli appassionati che leggeranno questa intervista?

Ho come l'impressione di essermi fatto prendere la mano in questa intervista. D'altro canto sono molto contento che questo non sia uno spazio fisico, stampato su carta, con una lunghezza massima da rispettare, perché mi sono molto divertito a scrivere. Spero di non avervi annoiato con le mie lungaggini. Grazie per l'opportunità di questa intervista e spero di vedervi tutti presto e suonare con voi.

Commenti

  1. Bella, mi ha fatto piacere leggerla e ukulollo è bravissimo , guardo i suoi video sul tubo ed è ingegnosissimo! Grazie

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